Voce fluente, tecnica superba: Vittorio Prato, intelligenza vocale e stilistica espresse con sensibilità teatrale

Uno sguardo profondo ma trasparente. Lindo ma acuto. Questo è quanto di Vittorio Prato colpisce immediatamente appena lo si conosce. E la prima impressione è quella che viene confermata quando si chiacchiera con lui. Baritono di fama internazionale, nato a Lecce e rimasto nella sua città natale il tempo necessario per prendere un brillante diploma in pianoforte al Conservatorio Tito Schipa per poi volar via e seguire anche altre passioni musicali. Il clavicembalo, diploma a Bologna e, soprattutto, il canto.

Sì, ho studiato al Tito Schipa, mi sono diplomato in pianoforte e poi sono andato fuori a studiare canto privatamente da un grande maestro che ha cantato anche con la Callas,  Ivo Vinco,  un basso stupendo.  Nel frattempo mi sono iscritto al corso di clavicembalo, per il quale ho preso un secondo diploma. Il fascino che ha esercitato su di me la musica antica mi ha permesso di iniziare a fare carriera come cantante di musica barocca. Da lì il passaggio al repertorio lirico:  Rossini e Mozart sono stati i primi autori, ma ancora oggi li “frequento” con grandissimo piacere. Un punto di riferimento nei miei studi è stato Luciano Pavarotti. Studiare con lui è stata una grande fortuna. E’ accaduto tra il 2005 e il 2007, due anni prima della sua scomparsa. E’ stato per me un onore il fatto che abbia creduto e investito sulle mie capacità. Il suo ricordo si è rinnovato di recente quando ho visitato quello che oggi è il museo che ne raccoglie le memorabilia, ma io ho rivisto le stanze in cui ho studiato con lui. E’ stato emozionante”.

Nella sua relazione allievo-maestro cosa le piace ricordare?
Gli garbava che avessi la voce molto in “maschera”: lo diceva anche a quegli studenti che  erano ancora in una fase meno avanzata della mia. Insomma la mia gestione della vocalità”.

Quale repertorio ama di più? Lei ha cantato Monteverdi e oggi si cimenta anche con i moderni.
Quando ci si tuffa in qualcosa che non si conosce, si finisce comunque per amarla, la curiosità fa sì che noi si entri nel meccanismo di ciò che studiamo ,e alla fine, riusciamo a vederne la bellezza. A questo punto da Monteverdi alla musica verista, dal belcanto classico ai moderni posso dire che mi sento sempre in nella mia  “cup of tea”, nella mia acqua insomma”.

Tutti i personaggi d’opera per il suo ruolo vocale sono interessanti. Ma in quali panni Vittorio Prato si sente più rappresentato a sua volta?
In ogni personaggio che interpreti scopri parti di te che sono nascoste e incognite anche a te stesso. Studiando i personaggi diversi alla fine ritrovi quelle che sono le parti più oscure della tua personalità, quelle che non fai venir fuori più di frequente. Ad esempio il Don Giovanni è uno di questi: la seduzione è qualcosa che si manifesta in tanti modi, secondo mille aspettI, cambia secondo quale sia “l’oggetto del desiderio”: il pubblico, una persona, piuttosto che una situazione di vita, anche professionale. Certamente Don Giovanni ti obbliga ad una continua ricerca su te stesso. Allo stesso modo però posso dire che Figaro mi entusiasma, perché gigione, è l’uomo nuovo che riesce a sopravvivere anche nel momenti di difficoltà. Se poi penso a me domani….mi piacerebbe essere Macbeth, un ruolo complesso, per il quale lavorare anche sull’analisi di se stessi. Del resto è Shakespeare, c’è un grande lavoro attoriale da fare, al di là delle note. Ma non è ancora il momento, così come non lo è per Scarpia, in Tosca”.

Con questi presupposti è difficile chiederle di indicarci l’opera preferita…
Effettivamente non ho una risposta circoscritta ma, se proprio vogliamo indicarne una, è facile: Bohème. Tutti abbiamo vissuto un po’ un periodo di difficoltà, fatta di pochi spiccioli in tasca, ma che sa anche di fanciullezza, delle illusioni che la vita ti offre e che, a un certo punto, svaniscono, te ne rendi conto tutto d’un tratto. In Bohème è la morte di Mimì a segnare questo passaggio.  Il mio periodo bohémienne è stato quello di Bologna, vivevo in una casetta piccola, dimessa se vogliamo,  in contesti molto goliardici, con uscite serali e pochi spiccioli in tasca, un po’ come accade ai protagonisti dell’opera di Puccini. Arriva prima o poi un momento in cui ti rendi conto che non si può vivere solo di spensieratezza”.

Infine parliamo del suo rapporto con la OLeS
Sicuramente speciale. Da ragazzo avevo l’abbonamento per tutte le Stagioni Sinfoniche e di Camerata nelle quali l’Orchestra Sinfonica di Lecce e del Salento era protagonista. Alla fine la vita mi ha fatto incrociare la mia passione per la musica con le amicizie, perché poi conosco un po’ tutti in orchestra. Questa è un’occasione veramente bella per poter fare Musica Insieme. Una sorta di festa ecco! Per me tornare a casa, dopo che giri il mondo, a fare un concerto è un po’ una summa di tante esperienze che porti in giro e rimetti al centro per farlo insieme agli amici.  Veramente una bellissima occasione

(testo raccolto a.c.di ComunicazioneOles)